Dalla seconda metà di giugno del 1944, quando venne costituita, la brigata Buricchi aveva sempre stazionato al Pian delle Vergini, in cima al monte Iavello, dov'era già stata la base della dissolta Orlando Storai.
Il raggruppamento, che in poco tempo raggiunse una buona
consistenza numerica, operò nella zona fino al 5 settembre del 1944 giorno in
cui iniziò la sua marcia verso Prato con circa 250 uomini, con alla testa
Armando Bardazzi comandante militare della formazione e Carlo Ferri commissario
politico.
L'ordine era di scendere verso Prato evitando ogni tipo di
scontro con i tedeschi, in vista della prossima liberazione della città.
Ci sono varie versioni sulla paternità dell'ordine di
scendere. La brigata iniziò la sua discesa parecchio in ritardo sull'ora
programmata.
La colonna, abbastanza lunga, percorse il primo tratto di
strada sul crinale e, a Piandemassi, prese il sentiero piuttosto ripido che
porta alla Collina.
Dalla mattina il Salinari con una squadra di trenta uomini
controllava che tutto fosse a posto durante la discesa.
La colonna evitò l'abitato di Cerreto, prendendo il sentiero
che porta alla Pesciola e lì si fermarono raccogliendosi nell'ampio spazio
accanto alla cascina.
A questo punto accadde un fatto imprevisto:
Il Fabbrini, la staffetta alla quale era stato affidato il
compito di guidare la formazione da quel momento in poi non c'era.
Vi fu una consultazione tra i comandanti, i capisquadra ed i
partigiani presenti sul posto; venne deciso di andare avanti. Così Renato Diddi
e Salinari guidarono la colonna al posto della staffetta che non si era
presentata, senza inconvenienti fino a Pacciana.
I tedeschi erano arrivati a Vainella ai primi di Settembre.
Piazzarono due obici nella valle, poi presero tutti gli
uomini validi e fecero scavare delle postazioni per mitragliatrici e armi
individuali nei dintorni, quasi delineando una mezzaluna al di sopra di Villa
Massai.
I tedeschi sapevano tutto, dunque, sullo spostamento della
Buricchi.
Erano in attesa e non sapremo mai come la cosa fu possibile.
Certo è che la segretezza per una operazione simile, si era
andata progressivamente attenuando, con i giorni che separavano l'ordine, dalla
discesa dai Faggi.
Non si sa quanti fossero i tedeschi ad attendere i
Partigiani, ma certamente erano ben armati e pronti a colpire quella brigata
che aveva dato loro tanti problemi e che mai avevano osato andare a sfidare ai
Faggi di Iavello.
A Pacciana erano le quattro del mattino e una voce in puro
italiano gridò:
Arrendetevi vigliacchi!
A mia volta gridai ai partigiani:
Pronti a far fuoco!
Eravamo circondati. I tedeschi lanciarono i bengala e cominciarono
a far fuoco.
Così scrive Carlo Ferri di quelle drammatiche ore.
Quei ragazzi allenati a colpire e dileguarsi erano capitati
sotto il tiro preciso delle mitragliatrici tedesche, piazzate con studio,
irraggiungibili, azionate insieme o alternativamente per non dare il tempo e la
possibilità di respirare.
Lo scontro fu durissimo e ai partigiani non restava che
sganciarsi e ritirarsi.
L'ordine era che in caso di attacco si dovevano ritrovare
alla base, cioè ai Faggi.
Il Bardazzi e altri, cercarono di dirigervisi, ma furono
catturati.
Riuscirono a liberarsi uccidendo due tedeschi. Poi nel
pomeriggio tornarono sul monte Iavello, ma furono di nuovo catturati dai
tedeschi arrivati lassù prima di loro. Si liberarono con un'azione che portò
alla morte di Ferruccio Moggi sui tornanti della strada alla Collina.
Fino all'alba durò la violenta sparatoria.
Era la mattina del 6 settembre.
Poi ebbe inizio il setacciamento del territorio e la caccia
all'uomo.
Intanto a Figline i partigiani catturati furono alla meglio
raggruppati con le mani alla nuca, e condotti almeno in parte a villa Nocchi.
Una trentina di loro furono schierati davanti al portone d'ingresso. La messa
in scena durò pochi minuti. Il comandante aguzzino tedesco fece tradurre da
Franz:
Poiché siete civili trovati con armi e munizioni, vi
condanno a morte tramite impiccagione!
Altri quindici partigiani che erano riusciti a confondere i
tedeschi affermando di essere degli sfollati, tra i quali anche Salinari,
attendevano sotto il portico del contadino di essere trasferiti a Bologna. I
condannati furono incolonnati e condotti verso Figline, mentre i tedeschi
cercavano le corde per compiere la strage.
La cronaca degli ultimi avvenimenti è stata scritta da
Argilano Bailonni al quale i tedeschi vollero fare assistere affinchè potesse
testimoniare la barbarie del loro gesto.
Sotto le travi della via oggi intitolata ai martiri a
Figline furono impiccati 29 partigiani appartenenti alla brigata Buricchi.
Appoggiati al muro della Bardena con le mani incrociate alla
nuca attesero il proprio turno.
Solo due partigiani riuscirono a salvarsi approfittando
dello scompiglio che alcune cannonate alleate avevano creato sui tedeschi:
Santino Grassi e Romano Villani.
Gli altri furono tutti impiccati. Sembra che solo 21
partigiani fossero sulla Bardena con le mani alla nuca, quindi secondo il
macabro costume nazista, a Figline furono impiccati anche i morti. Fu persino
impedito di benedire quei ragazzi, infatti don Milton Nesi li benedì da lontano
Quella triste giornata era finita:
con 7 feriti, 14 dispersi, 13 uccisi nello scontro e
complessivamente 29 impiccati.
Dal sito dell'Associazione resistente
Dal sito dell'Associazione resistente